“La voce del silenzio” è una delle canzoni più interpretate. Da Mina a Loretta Goggi, ognuno ne ha fatto una sua versione. È una metafora poetica in una canzone romantica, ma siamo certi che effettivamente il silenzio non abbia una voce? Chiediamolo alle neuroscienze e alla filosofia.
La risposta è sì, il silenzio ha una voce. E con quel dei nostri cinque sensi possiamo percepire questa voce? Sempre che continuiamo a considerarli nel numero di cinque! Dylan Dog, la creatura di Tiziano Sclavi, ne ha cinque e mezzo. L’intuito, la vocina interiore che sussurra consigli e verità, viene spesso derubricato ad una fantasia. Eppure l’esperienza di ciascuno non ne può negare l’esistenza cosa che, peraltro, nemmeno le neuroscienze fanno!

Il Default Mode Network e il silenzio interiore: una finestra sul sé
Quando siamo in silenzio, fisicamente e mentalmente, questa rete si attiva. Forse è per questo motivo che la solitudine pesa, perché lascia troppo spazio al rumore dei pensieri, e forse sempre per questo motivo tanti tengono radio o tv accese perché “mi fa compagnia”. È come se, abbassando il volume del mondo esterno, la mente potesse riorientarsi verso l’interno, lasciando emergere ciò che spesso rimane sepolto sotto il flusso incessante di stimoli.
Durante la meditazione, soprattutto quella focalizzata sulla respirazione o sull’auto-consapevolezza, il cervello entra in uno stato di riposo attivo. In questa condizione, i pensieri fluiscono liberandosi, come se si sollevasse il coperchio di una pentola a pressione. Emergono e salgono alla coscienza e vengono lasciati andare. Non sorprende che studi neuroscientifici abbiano mostrato come meditatori esperti tendano a mostrare un’attività più efficiente e bilanciata della DMN. Il silenzio, sia esteriore che interiore, facilita la regolazione dei pensieri e delle emozioni, creando uno spazio per il “sé osservante”, quella parte della coscienza che guarda e riflette senza essere intrappolata nelle preoccupazioni quotidiane.
Silenzio, meditazione e neuroplasticità
Questo significa che il silenzio non è solo uno stato mentale, ma un agente attivo di trasformazione. L’assenza di rumore esterno crea un terreno fertile per nuove connessioni neurali, migliorando la capacità di regolare emozioni, rispondere allo stress e riflettere in modo più consapevole sulla propria vita.
Per non parlare di quante parole vi hanno paradossalmente dedicato i filosofi! A partire da Platone, che a proposito del dialogo così disse: “Perché la voce esista e possegga un senso, occorre che essa risuoni nel silenzio di chi lo ascolta e che si distingua dal silenzio di chi la emette”. Schopenhauer è stato sicuramente il più grande estimatore del silenzio , ritenendolo l’unico strumento per fuggire dalla sofferenza che attanaglia ogni respiro: solo con l’arte contemplata in silenzio possiamo raggiungere uno stato di quiete interiore, dove i desideri e le preoccupazioni si dissolvono.
Anche Jung lo riteneva fondamentale nel processo di individuazione, cioè il processo attraverso il quale una persona raggiunge una piena realizzazione del proprio potenziale e si riconcilia con i diversi aspetti della propria psiche. Questo processo richiede introspezione profonda e, soprattutto, momenti di solitudine e silenzio. Solo nel silenzio interiore, infatti, si può ascoltare la voce del Sé, che guida l’individuo verso l’integrazione dei propri opposti e il raggiungimento della totalità.
In un mondo sempre più frenetico e rumoroso, la ricerca del silenzio può essere vista come un atto simbolico di ritorno a sé stessi. Ed ecco che coltivare il silenzio in tutto questo rumore diventa un atto rivoluzionario.
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